L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ‘68
Da Redazione TorinoFree.it
Febbraio 26, 2018

Dal 23 febbraio al 24 giugno, presso il Gam di Torino, è da vedere la mostra L’arte rivoluzionaria nel cinquantenario del ’68, curata da Pier Giovanni Castagnoli, con sessanta opere che raccontano l’impegno politico e civile del grande pittore siciliano Renato Guttuso, fermamente convinto che l’arte dovesse assolvere una funzione civile, perché dotata di una profonda valenza morale.
Il percorso espositivo, tra ritratti, autoritratti, paesaggi, nature morte, nudi, vedute d’interno e scene di conversazione, parte del 1936, con Autoritratto con sciarpa e ombrello, e termina con gli anni del fermento sociale post-sessantottino in Italia.
A cinquant’anni dagli eventi che cambiarono il mondo occidentale, il Gam indaga il mondo di Guttuso nel periodo storico in cui queste opere sono nate.
Fin dagli anni della fronda antifascista e poi nel secondo dopoguerra, Guttuso fu un artista che cercò un punto d’incontro tra impegno politico e sociale ed esperienza creativa, nella convinzione che l’arte dovesse avere anche una funzione civile, morale ed educativa.
Guttuso era infatti molto legato a un Neorealismo che ritornava a una figuratività del reale, con colori violenti e tensioni espressive che offrono il mondo esterno nel suo divenire, ma anche con una capacità di riflessione e azione da stimolare.
Non fu un caso che Renato Guttuso prese parte tra il 1946 e il 1950 al Fronte Nuovo delle Arti, rivolto verso il modello del cubismo grazie alla grande fascinazione per Picasso, soprattutto il Picasso di Guernica.
Infatti l’interesse del gruppo era quello di adattare la libertà formale cubista alle tematiche ideologiche realiste, dando vita a un realismo capace di parlare della complessità della propria contemporaneità.
Sempre per questa volontà militante, al cinquantesimo anniversario della rivoluzione d’ottobre, nel 1967 Guttuso scrisse su Rinascita, una rivista politico-culturale del Partito Comunista Italiano, un articolo, Avanguardie e Rivoluzione, dove riconosceva alla rivoluzione il titolo inconfutabile e meritorio di essere stata il fondamento di una nuova cultura, con la quale profondamente sentiva di identificarsi, chiudendo l’articolo con la frase “L’arte è umanesimo e il socialismo è umanesimo”.
Le opere di Guttuso si rivelano di fatto non molto lontane da quelle di Goya, con dipinti come Fucilazione in campagna (1937), i disegni urlati del Gott mit uns (1944), e nel dopo guerra le reinventate epiche popolari dellla Marsigliese contadina (1947) o Lotta di minatori francesi (1948), fino a opere come i Funerali di Togliatti (1972) che mostrano tutti una realtà che però non è mai fuga dal reale, ma piuttosto un’accentuazione del sentimento verso di essa, che stimola il risveglio dal sonno della politica italiana.
La mostra è accompagnata da un catalogo, edito da Silvana Editoriale, che, oltre ai saggi di curatori ed esperti, contiene un’antologia di scritti di Renato Guttuso e un’antologia critica.
L’esposizione è visitabile da martedì a domenica dalle 10 alle 18, chiusa il lunedì.
Il biglietto d’ingresso intero costa 12 euro, ridotto 9.
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